(Presento in modo molto neutro, come in un tradizionale curriculum, la vicenda del cantautore, e affronto invece con un tono discorsivo – e in prima persona – l’esperienza dello storico dell’arte: affidando a questo la parte di quello, e viceversa.)
Prendevo servizio in Soprintendenza nel 1981, ancora fresco di studi universitari. Ero poco consapevole della complessità del mio nuovo mestiere, e di un territorio – mi veniva affidato il Ponente ligure – piuttosto misterioso anche ai miei occhi di genovese. E proprio da quel territorio sarebbero scaturite, nel tempo, parecchie occasioni.
Devo ammettere che negli anni di cui sto parlando – anni di netto ringiovanimento e di forte accrescimento numerico dell’ufficio – giovava molto, a un funzionario novellino e poco carismatico, il fatto di potersi presentare agli abitanti di un paese con un’autoblù condotta da un attendibilissimo (e forse più carismatico) autista in divisa. In seguito, venendo progressivamente a diminuire certe risorse, avrei imparato ad affidarmi con una certa abilità a veicoli offerti e a passaggi opportunamente incrociati.
Il treno restava comunque – e resta tuttora, per me – il mezzo di trasporto più amato e più utilizzato. Proprio in treno del resto, scrivendo queste righe, mi è venuta l’idea di risolvere la mia biografia di storico dell’arte ricorrendo a un classico gioco infantile (il “facciamo che”)
Facciamo che io scelgo – si deve proprio dire così – le prime dieci cose piacevoli che, del mio lavoro, mi vengono in mente.
Dunque, non necessariamente le più prestigiose; anche perché spesso – come nel mestiere dello scrivere canzoni – sono le cosiddette cose “piccole” a fornire, anche sul piano emotivo e sentimentale, le opportunità migliori.
1. Appendice con fichi.
Non ricordo se fossi ancora iscritto a “Italia Nostra”, ma davo comunque una mano con Piero Fantoni – che faceva il servizio civile e documentava tutto con le sue foto – a Bruno Ciliento. Eravamo ancora ben dentro gli anni ’70, e Ciliento stava lavorando a un’Appendice dell’ormai vetusto Catalogo delle Ville Genovesi (1967).
Il mio apporto, abbastanza spensierato, si perfezionava con mansioni d’autista.
La scheda di Villa Piccardo (a Voltri, in via Montorsoli) reca anche la mia sigla FB: in realtà mi limitai, con Piero, a raccogliere molti fichi e a metterne qualcuno nelle tasche della giacca a vento del nostro comune amico. Lui non seguì bene la cosa e li ritrovò molto tempo dopo.
2. Il giardino “all’inglese”.
(O anglo-cinese che dir si voglia.) Un’indagine suggerita da Franco Sborgi, che mi aveva portato – neolaureato, alla fine degli anni Settanta – ad aggirarmi per mesi con la massima curiosità nei parchi genovesi ispirati al nuovo gusto e concepiti come “montaggio di immagini evocative”.
L’ideale perché ne uscisse ulteriormente stimolata una certa attitudine ad esplorare e investigare.
3. Le ricerche sull’argenteria.
Avviate nel 1982 insieme a Farida Simonetti, con una mostra promossa dal Comune alla Fiera di Genova, Arte e tradizione dei fràveghi.
Avremmo continuato a studiare queste cose per anni (pezzi cinque, sei e settecenteschi, sacri e “da parata”, concepiti per la tavola o per dare luce); e oggi non possiamo illuderci di aver fatto abbastanza, perché il fascino lunare degli argenti è unico, quando ti prende non ti lascia più.
4. Le note alle Note.
Era stato un onore imbarazzante, per me e per Farida, ricevere da Gian Vittorio Castelnovi, nei primi anni ’80, la proposta di aggiornare le sue densissime note (spesso concepite come elenchi di opere attribuite, dubbie o contestate) al capitolo della Pittura a Genova e in Liguriadedicato agli artisti del Seicento.
Senza cambiare nulla del suo testo – su questo punto era stato tassativo -, e limitandoci a creare rigorosi inserti entro parentesi quadre.
Il lavoro risultò davvero lungo, e il compenso dell’editore assai modesto: ma come suol dirsi in questi casi, ne era valsa la pena.
5. Arcate e perizomi.
La scultura lignea ligure medievale e tardo-medievale “ritrovata”, a cominciare da una ricerca un po’ spavalda sui piccoli Crocifissi processionali.
Con Fulvio Cervini, nel ’94, mi ero rivolto a un amico fumettista, Stefano Piccardo, perché ci semplificasse in chiave grafica il confronto tra le diverse tipologie di Cristi. Proporzioni generali, elementi anatomici connotanti (p.es. l’arcata epigastrica), foggia e pieghe del perizoma… Solo più tardi ci sarebbe stata la Sacra Selva.
6. Sulle orme degli antichi Soprintendenti.
E di Pasquale Rotondi in particolare; con tutto il rispetto del caso, dovendomi occupare dell’ormai necessaria revisione di “storici” restauri su importanti cicli pittorici (Pigna, Montegrazie) e maestosi polittici (Camporosso, e ancora Montegrazie).
A Pigna, l’esiguità e continuità dei finanziamenti aveva comportato un fortissimo esercizio di pazienza. Dopo il lavoro sugli affreschi di Montegrazie la restauratrice, Sandra Perugini, era venuta con me e con Massimo Bartoletti in Perù e in Ecuador (dalle nevi delle Ande ai pirañasdel bacino amazzonico), per una sorta di cimento estremo e disintossicante.
7. Arti “minori”.
Per qualche anno ho tenuto all’Università un corso di arti decorative (o “minori”, o applicate), cercando di affidare tesi sulle più diverse varietà di oggetti e insistendo sulle meno frequentate (la latta, il cuoio).
Avevo anche coltivato l’ingenua speranza di formare una piccola équipe per lavorare insieme a un futuro repertorio dell’argenteria del Seicento. Dopo la laurea, in realtà, li ho un po’ perduti di vista: qualcuno, però, lo vedo ai miei concerti.
8. La tutela in certi momenti. (E momenti più gravi della guerra, non saprei dirne.)
A Gorizia, nel 2008 , ho preso parte a un convegno dedicato ad Antonio Morassi, nativo di quella città. Morassi fu soprintendente alle Gallerie della Liguria (allora si diceva così) tra 1939 e ’49, e dovette occuparsi delle cosiddette “confezioni di salvataggio”, con la messa in sicurezza delle opere ritenute più rilevanti (soprattutto dipinti).
Col variare della linea di fuoco variava continuamente la dislocazione dei rifugi, e le risorse – anche umane – erano limitatissime.
In realtà, di quanto si era cercato di mettere via si riuscì a salvare tutto, o quasi.
9. La vicenda dei cartelami.
Sono saltati fuori, un po’ come i “cristetti” quattrocenteschi, quando ci eravamo convinti di poterli trovare. Gli apparati effimeri per la Settimana Santa (i cartelami) venivano segnalati ad Alfonso Sista e a me un po’ ovunque: in Liguria e Toscana, Piemonte e Sardegna; in Corsica e nelle Alpi Marittime, e addirittura alle pendici dei Pirenei.
Ancor più del convegno di Perpignan “sur le décors del la Semaine Sainte” (2006), mi piace ricordare le nostre escursioni in Corsica nel 2010. Alla grande mostra di Palazzo Ducale (2013) seguirà il clamoroso montaggio del “Sepolcro istoriato”, frutto del lucido delirio di un futuro sindaco, nella parrocchiale di Laigueglia. E si stanno concludendo le riprese di un docu-film, realizzato da Marco Kuveiller, che ricostruisce i momenti della “scoperta”.
10. San Michele tutt’al più.
Che il polittico di san Michele fosse così intatto, davvero non lo si poteva immaginare. Era sistemato in alto, nell’abside della chiesa di Diano Borello, e si sapeva solo che a firmarlo era stato Antonio Brea, “il fratello meno bravo di Ludovico”, nel 1516.
Ora, dopo il restauro condotto da Riccardo Bonifacio (2015), sappiamo per certo che la gente di Diano Borello si era esposta in quel tempo a una spesa importante; che il polittico è praticamente intatto, come di rado accade con opere di quell’epoca; e che Antonio, senza dubbio alcuno, si rivela grande pittore.
Per di più, quasi certamente non era neppure il fratello di Ludovico: tutt’al più un nipote o un cugino, ma questo si vedrà.
1. Appendice all’edizione 1967 del Catalogo delle Ville Genovesi, a cura di B. Ciliento, Borgo San Dalmazzo (Istituto Grafico Bertello) 1981.
2. Per una traccia del giardino “all’inglese” a Genova, in “Studi di storia delle arti”, 3, 1980.
3. Arte e tradizione dei fràveghi (con F. Simonetti), catalogo della mostra (Genova, Fiera del Mare, 1982), Genova (Prima Cooperativa Grafica Genovese) 1983.(con F.S.) Argenti genovesi da parata tra Cinque e Seicento, Torino (Allemandi) 1991.
(con F.S.) L’argenteria genovese del Settecento, Torino (Allemandi) 2007.
4. G.V. Castelnovi, La prima metà del Seicento. Dall’Ansaldo a Orazio De Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, 2a ed. aggiornata, Genova (Sagep) 1987.
5. Crocifissi lignei tardomedievali nella Liguria di Ponente (con F. Cervini), in Restauri in Provincia di Imperia. 1986-1993, a cura di F.B. e B. Ciliento, Genova (Sagep) 1995.
La Sacra Selva. Scultura lignea in Liguria tra XII e XVI secolo, catalogo della mostra a cura di F.B. e P. Donati (Genova, chiesa di Sant’Agostino), Milano(Skira) 2004.
6. Canavesio in San Bernardo a Pigna. Il restauro della chiesa e degli affreschi (con C. Fusconi), Sanremo (Art&Stampa) 1998.
Montegrazie. Un Santuario del Ponente ligure (a cura di F.B.), Torino (Allemandi) 2004.
7. (nessuna citazione, per non fare torto a nessuno)
8. Il soprintendente Antonio Morassi e la salvaguardia del patrimonio ligure, in Antonio Morassi. tempi e luoghi di una passione per l’arte, Atti del Convegno Internazionale (Gorizia, Scuderie di Palazzo Coronini Cronberg, 2008), Udine (Forum Ed. Universitaria) 2013.
9. Il teatro dei cartelami. Effimeri per la devozione in area mediterranea, a cura di F.B. e A. Sista, Genova (Sagep) 2012.
Il Gran Teatro dei Cartelami. Scenografie tra mistero e meravioglia, catalogo della mostra (Genova, palazzo Ducale) a cura di F.B. e A. Sista , Cinisello Balsamo (Silvana ed. ) 2013.
(con C. Olcese Spingardi) I Cartelami di Laigueglia. Scenografie per la chiesa di San Matteo, Genova (Sagep) 2014.
10. (con A. Mairani) Antonio Brea e il Polittico di san Michele, Genova (Sagep) 2015.