Sapevo di poter provocare più d’un sorrisetto ironico, quando avessi affrontato con taluni storici dell’arte l’argomento degli arredi in latta: una reazione largamente prevista. D’altra parte, a quella cosa tenevo, ed ero riuscito a farne anche, nel 2005, l’oggetto di una tesi di laurea. Latta, banda stagnata o più volgarmente tolla: un foglio di ferro ricoperto sulle due facce da uno strato sottile di stagno. Ha origini quattrocentesche e trova già una produzione proto-industriale nella prima metà del Settecento. Oltre a oggetti d’uso domestico (come contenitori per derrate), forniva la materia per economicissimi elementi d’arredo sacro: porticine di tabernacolo e tabernacoli portatili, bussole per votazioni ed emblemi di confraternite, Misteri del Rosario, sagome dipinte, capi-croce, addobbi floreali e, last but not least, fanali processionali.
Manufatti oggi sempre più esclusi dagli spazi del rito a motivo della loro imbarazzante povertà, ma spesso – ed è questo il punto – ritenuti anche indegni di schedatura storico-artistica da parte degli addetti ai lavori.
La latta non ha la plasmabilità dell’argento e si può solo curvare e ritagliare, incidere e forare; ma basta scorrere una serie di immagini – prendiamo ad esempio la tipologia del fanale – per constatare come il lattoniere sapesse sfruttare al meglio questa relativa inerzia della materia, creando un numero più che apprezzabile di combinazioni e varianti.
Valeria Righetti, Cultura della latta in Liguria: alla scoperta di un’arte dimenticata, in “La Casana” (periodico quadrimestrale di Banca Carige S.p.a.), 4/2006.