La grande campagna fotografica per il libro sull’Argenteria genovese del Settecento partiva nel 1994; ma il volume sarebbe stato dato alle stampe, dopo tanti inevitabili rallentamenti, solo nel 2007. A dare la misura del tempo trascorso – avrei poi scritto con Farida nell’introduzione – era il fatto stesso che il fotografo avesse abbandonato, a un certo punto, la pellicola per passare alle “seducenti opportunità” (cito testualmente) del formato digitale.
A dirla tutta, la pellicola individuata nel ’94 era un bianco e nero 6 x 6, e la macchina, per una scelta non so se più snobistica o più romantica, era la Rolleiflex di mio nonno Nino, di cui l’amico Piero Fantoni era stato eletto da tempo custode e fruitore.
La campagna fotografica era passata, non senza evidenti difficoltà diplomatiche, attraverso una lunga serie di salotti “bene”, in una città notoriamente gelosa dei suoi tesori privati.
A creare un favorevole clima rituale in rapporto alle riprese bastava però il montaggio di una rudimentale ma efficace struttura di diffusione uniforme della luce (il “teatrino”) intorno alla quale, di volta in volta, Piero si adoperava con fare severo.
La costruzione del set circonfondeva, così, di una sorta di alone mistico l’intera faccenda.