Franco Boggero quintet

Ci sono una «donna nera, nera» che fa restare a bocca aperta gli uomini, «la vera donna bionda» che non ha ori, solo la sua beltà e un pupazzo sorridente, «la rossa naturale di cui non puoi farne a meno» e un uomo in gran pericolo barricato a guardare nel vento nel live de La Claque a Genova nella nottata del 14 aprile con il Franco Boggero Quintet. Sono per l’appunto Franco Boggero, Marco Spiccio, Federico Bagnasco, Daviano Rotella e Paolo Maffi: note che sanno prendere e parole ironiche per riflettere, sulla scia del primo Enzo Jannacci, anche se c’è chi li inserisce nel solco di Gianmaria Testa e Paolo Conte.

Inutile tentare di classificarli, del resto la cifra stilistica è tutta loro, nata in quel luogo ormai mitologico dal sapore platoniano che è la «Spiccio’s Cavern», più prosaicamente la sala di Marco Spiccio che cura gli arrangiamenti con Federico Bagnasco

Perché se un diamante sta bene anche su un tavolone in legno grezzo – commenta col sorriso Spiccio- su un cuscino di velluto risalta di più.

Tra il pubblico (in diversi venuti appositamente da Sanremo o da Torino) invece balza all’occhio la mancanza di canzoni votate all’amore:

Difficile esprimerlo, sarò timido -scherza replicando Franco Boggero- anche se cito più di una volta le donne nelle mie opere, lo faccio in modo indiretto, ma ho raccolto gli stimoli dei miei ascoltatori e ci sto provando. Ne sto preparando una sulla donna amata.

Emozioni e sorrisi nel concerto si rincorrono come quando propone la canzone «A bocca aperta», nata dalla sfida del dentista al cantautore e al contrabbassista. Difficile mettere in musica l’odontotecnico che fa la «Mission impossible»e ti fa domande su domande mentre stai lì con l’aspiratore che ti uncina la bocca.

Un pezzo sarcastico -spiega Boggero- che mi ha portato anche una ricerca lessicale divertente con termini come flusso salivare, cartina articolare, gengivite, radice dentale, otturazioni che sanno di chiodo di garofano, parole eufoniche da ruminare. A forza di sentirle e rimuginarle dentro possono diventare musica.

Per dirla sulla sua lunghezza d’onda c’ è un «dis-ordine» in cui l’ascoltatore diventa creativo, vi entra emotivamente, utilizzando gli stimoli e le sonorità tattili che accarezzano l’orecchio. Evidenti l’armonia e il sale della vita delle piccole cose, che poi sono le più grandi. Come la carezza sulla testa di un cane, che muove gli occhi all’insù seguendo la mano, pensando alla vita e alle sue dimensioni oppure come una punta da cinque. Pezzo che dà il nome al disco presentato nella serata da Musikat Productions ambientato nella bottega di un ferramenta che diventa una sorta di confessionale nel dialogo rimbalzante tra il cliente, il commesso e il ferramenta, sorta di superuomo che filosofeggia tra i suoi macchinari. «L’importante è capire dove si vuole cadere, avere già le misure e un bel momento tagliare»: è in questa frase che si riassume lo spirito della pièce musicale, ma soprattutto l’idea di fondo di Franco Boggero e della sua arte dissacrante.

Come ha commentato Gian Piero Reverberi «Devo ribadire l’assoluta precisione degli arrangiamenti, la bravura dei singoli musicisti nel dosare gli interventi e nell’utilizzare gli strumenti, aggiunti in modo essenziale». Quello che si chiama lavoro di squadra.

Fonte: Il Secolo XIX