Vorrei provare ad essere un’altra persona
per vedere me stesso come mi vedono gli altri.
Vorrei sapere qual è l’impressione che prova chi
non sa per nulla quello che faccio e che sono

Quando cammino pensando ai fatti miei
quando sorrido per chiedere qualcosa.
La mia paura è che a vedere me come sono
io potrei rimanere deluso,
rimanere deluso, rimanere deluso.


Non saprei dire bene perché, ma questa breve e intensa canzone di Luigi Tenco (che, per la cronaca, ha potuto contare anche sull’arrangiamento di Gian Piero Reverberi) mi rimanda a certe poesie di Fernando Pessoa.
In particolare, giusto per citarne una, a quella intitolata Esta especie de loucura. La do qui in originale, perché se ne possano cogliere le rime (e in nota, metto la traduzione):

Esta especie de loucura
Que é pouco chamar talento,
E que brilha em mim na escura
Confusão do pensamento,

Não me traz felicidade,
Porque, emfim, sempre haverá
Sol ou sombra na cidade,
Mas em mim não sei o que ha*.

Nel booklet di questo cd, Una punta da cinque, il testo di Come mi vedono gli altri, unica cover dell’album, si accompagna a un’immagine che Piero Fantoni ha realizzato una sera di fine estate sul terrazzo di casa sua, fotografando la mia ombra e il disegno della pavimentazione.

Direi che funziona.

* Questa specie di follia / che è poco chiamar talento, / e che in me brilla nell’oscura / confusione del pensiero, / non mi reca felicità, / perché, in fondo, sempre ci sarà / sole o ombra sulla città, / ma in me cosa c’è non so.
(F. Pessoa, Il mondo che non vedo. Poesie ortonime, a cura di P. Ceccucci, Milano, BUR, 2009, p. 406)