Il cioccolato acquisisce col tempo
una patina chiara
e mi piace vedere se a volte
c’è scritto che è tutto normale
soltanto per farlo notare agli amici presenti
e mangiarlo contento.

E la mostarda secondo qualcuno
ha un sapore di treno,
più che altro tendine cifrate
di vecchi vagoni di prima
declassata
polvere, estate, amore e via.

E quel signore che vende accendini rubati
là dove non dico,
gli hanno detto che con quella voce
non può fare altro
e lui ci ha creduto
e non tenta più il grande salto.


Marco Spiccio aveva ascoltato, nel 1997, un nastro che girava nei vicoli con dentro questo mio pezzo, Cioccolato, tendine, accendini; e mi aveva lasciato in segreteria un curioso messaggio, presentandosi come “il venditore di accendini rubati”. Avevo richiamato, abboccando, e da lì era subito partito il nostro sodalizio musicale. Sarei poi riuscito a dare un nome – Pippo – al vero venditore di accendini, una figura abbastanza nota che negli anni ’70 del secolo scorso stazionava in via San Luca. Lo trovavo, infatti, raffigurato e citato ne La bocca del lupo, il lungometraggio di Pietro Marcello (2009) dedicato alla drammatica vicenda umana del figlio di Pippo, Enzo Motta, che del film è anche il principale interprete. Cerco però di non divagare: la scena del venditore di accendini è la terza e ultima in questa frammentaria canzone-bonsai, che si apre con un’incoraggiante considerazione relativa allo sbiancamento – alla lieve patina biancastra – che può prodursi talvolta sulla superficie di una tavoletta di cioccolato, ma che non per questo ne pregiudica necessariamente la qualità. Il “quadro” centrale ha invece carattere ferroviario, e mi riporta alla scarsa considerazione che mio padre mostrava di nutrire nei riguardi della mostarda, da lui avvicinata, attraverso una strana serie di associazioni olfattive, alle tendine polverose di certi vecchi vagoni (e se dico “prima declassata” tutti pensano, inevitabilmente, a un vecchio vagone).